"l' Arte è l'anfetamina del vivere
quotidiano" G. Saccomano





giovedì 5 novembre 2015

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JAMES BOND e
IL FASCINO SOTTILE DEL CATTIVO
di Gianpaolo Saccomano
(2° parte)


I villain Kananga/Mr.Big e Franz Sanchez, rispettivamente Yaphet Kotto in “Vivi e lascia morire” e Robert Davi in “Vendetta privata”, introducono elementi di contemporaneità e di realismo nelle attività criminali dei villain bondiani.

  
Sono infatti trafficanti di droga su scala mondiale, quindi sostanzialmente interessati al profitto personale, e per una volta lasciano in secondo piano i deliranti progetti di dominazione mondiale. In particolare, Robert Davi, bravo attore, specializzato in ruoli negativi, anche per via del suo caratteristico viso butterato, rimanda esplicitamente al vero narcotrafficante del cartello colombiano Pablo Escobar e conferisce un po’ di mordente alle non eccelse prestazioni dello 007 di Timothy Dalton, rubandogli spesso la scena e tratteggiando una temibile e convincente figura di criminale dei giorni nostri.


Se del Gustav Graves  di Toby Stephens, invece,  in “La morte può attendere” (2002) possiamo solo dire che è il solito uomo d’affari sofisticato, rude ed arrogante, che ha in progetto di annientare le difese della Corea del Sud per permettere l’invasione di quella del Nord e che la trasformazione estetica subita da Tai Sun Moon è assai poco credibile, maggiore attenzione la merita senz’altro Elliot Carver, il villain de “Il domani non muore mai” (1997), interpretato da un magistrale Jonathan Pryce, mai così viscido, cinico e spietato. Carver, che deve più di un dettaglio ispirativo al vero magnate delle comunicazioni mondiali Joseph Murdoch, è uno dei “signori” mediatici internazionali ed ha progettato di scatenare un conflitto tra la Cina e il Regno Unito per mezzo di una nave stealth (invisibile a radar e satelliti) che, con un sistema GPS modificato, affonda una fregata della marina inglese, addossandone poi la colpa ai cinesi.


Carver che, come molti dei villain che abbiamo appena citato, ha come vero scopo l’arricchimento ed il potere mondiale attraverso un aumento esponenziale dell’audience mediatica, ha però una peculiarità del tutto inconsueta per un cattivo bondiano: è regolarmente sposato con la bella e affascinante moglie Paris (Teri Hatcher), punto debole del suo team criminale, dato che lo tradirà di nuovo proprio con il Bond di Pierce Brosnan (con il quale aveva avuto una liason precedente). In tempi più recenti Max  Zorin, Renard e Raoul Silva hanno saputo conferire alla sarabanda dei nemici di Bond, degli elementi di maggior aggancio con il business della tecnologia e della medialità, cui si aggiunge una variante di carattere psico-comportamentale.

 
Ovvero, siamo di fronte, in tutti questi casi, ad una attenuante di carattere fisiopatologico alla malvagità degli antagonisti di Bond, cha va ben oltre alle consuete anomalie fisiche esteriori (cicatrici, arti artificiali, denti d'acciaio...) che avevano in un certo senso "marchiato" quasi lombrosianamente i cattivi precedenti,  a ciò si aggiunge, anche una certa dose di sofferenza interiore. Come nel caso di Renard/Viktor Zokas, il terrorista russo interpretato da Robert Carlyle, ne "Il mondo non basta" (1999), che a causa di una pallottola piantatasi nel cervello, ha perso la sensibilità al dolore e ad alcuni stimoli sensoriali ed afferma "Non puoi uccidermi. Io sono già morto", oppure quello di Max Zorin, "Bersaglio mobile" (1985),cui presta il volto un notevole Cristopher Walken (sapevate che in origine il ruolo era stato previsto per David Bowie?..) e che si connota per la sua lucida follia di sterminio, derivata da una serie di sperimentazioni genetiche, di matrice nazista, che lo hanno reso uno psicopatico.


Recentissimo (Skyfall, 2012) è poi il Raoul Silva interpretato da uno Javier Bardem, inquietante e problematico quanto il suo killer psicotico de "Non è un paese per vecchi", talmente sopra le righe da regalarci una performance attoriale simile a quella del Joker di Heath Ledger, sempre in bilico tra scherzo e crudele realtà. Il cyberterrorista, ex capo sezione MI6, è mosso da uno spietato desiderio di vendetta contro M e il servizio segreto britannico e per questo organizza azioni criminali di tutti i generi vendendole poi attraverso la rete informatica. Come i già citati Zorin e Renard, Silva è fisionomicamente sfigurato e mentalmente disturbato e conferisce una forte teatralità alle sue azioni: accenna ad una presunta omosessualità (altra novità per i villain di 007, anche se già Mr.Wint e Kidd, i tirapiedi di "Una cascata di diamati", sono di fatto una coppia gay...) e arriva al punto di riproporci visivamente una situazione del tutto simile alla fuga dalla cella di massima sicurezza di Hannibal Lecter ne "Il silenzio degli innocenti".


Giunti a questo punto ci chiediamo allora quale sia “il nemico per eccellenza” nella saga cinematografica bondiana e, concordiamo con la maggioranza dei fan, nel consegnare la palma della vittoria all’inneffabile Francisco Scaramanga, interpretato da Christopher Lee ne “L’uomo dalla pistola d’oro” (1974), uno dei momenti di massimo splendore della sua notevole carriera di attore. Un’interpretazione, quella di Lee, che conferisce un fascino notevole a questo super-killer, figlio di artisti del circo, raffinato ed acculturato, che pur avendo raggiunto l’apice del suo malvagio operato, si mette in gioco continuamente con un unico obiettivo: quello di uccidere James Bond, il suo nemico numero uno. Scaramanga diventa così una sorta di alter ego cattivo di 007: come lui ama il gusto e le belle donne, come lui si serve di una quantità di gadget tecnologici e possiede un auto esclusiva (un coupè American Motors) dotata di un dispositivo che le consente addirittura di volare, utilizza poi un’ arma piuttosto insolita (una pistola d’oro che si assembla con un accendino, un portasigarette e una penna)… ma, soprattutto, come lui possiede un indubbio magnetismo ed un’eleganza innata, che si esalta ancor più grazie alla sua fisicità mediterranea,  contrapposta in maniera molto azzeccata al very british style di sir Roger Moore.


Colpisce molto l'idea di scegliere un sicario come immagine allo specchio per il nostro Bond:  forse per contrastare l'uomo che uccide in nome del denaro ci vuole l'uomo che uccide in nome del suo paese. Ironia della sorte, sia Moore che Lee avevano cominciato insieme, venticinque anni prima, con una particina nel film Trottie True…


Concludiamo questo excursus (necessariamente limitato) sui cattivi bondiani, con una riflessione sul nostro eroe: James Bond è un po’ il “cattivo sublimato”… perché è cattivo in nome di un ideale,come Che Guevara, Fidel Castro, Gheddafi, Bin Laden, ed i loro simili, che hanno fatto i cattivi per una causa, giusta o sbagliata, di qualsivoglia ideologia. Non dimentichiamoci, infine, che dei sei interpreti di 007, Pierce Brosnan è stato il più sanguinario, uccidendo in media diciannove persone a film; George Lazenby, nonostante sia l’unico ad aver girato solo una pellicola nei panni di Bond, è stato il più fortunato con le donne (addirittura più di Sean Connery!); mentre, Timothy Dalton ha preferito eccedere in consumo di alcool, ma mai quanto Daniel Craig, l’attuale James Bond, che ha una percentuale incredibile di vodka-Martini ingurgitati! Questa è la vera seduzione di James Bond.. non è semplicisticamente l’essere spietato e in un certo qual modo “cattivo”… di cattivo, fatto fuori uno ne arriva subito un altro, pronto a prendere il suo posto. C’è sempre, insomma, un nemico da combattere, perché “il male” è sì duro a sconfiggersi ma è intrigante da vedere...



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martedì 3 novembre 2015

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articolo 


JAMES BOND e
 IL FASCINO SOTTILE DEL CATTIVO
di Gianpaolo Saccomano
(1° parte)
 
Non sono stati necessari più di tre o quattro film della serie più longeva della storia del cinema per capire che i nemici di Bond, coloro che non vogliono conquistare qualcosa, ma il Mondo intero, rientrano più o meno tutti in un determinato cliché.  Questi super-cattivi, nonostante abbiano escogitato dei piani ingegnosi e machiavellici,  catturano spesso, ma non uccidono, il protagonista e gli svelano il loro piano per narcisismo, facendosi aiutare da bizzarri guardaspalle e donne bellissime che, il più delle volte finiranno per tradirli, preferendo il fascino di Bond. Hanno a disposizione ingenti risorse economiche  e potere e ciò nonostante vogliono arricchirsi ancor di più o dominare l’intero genere umano… sono tutti megalomani e, in un certo senso, si sentono onnipotenti; in realtà sono schiavi delle loro ossessioni, a tal punto da andare incontro ad una sicura sconfitta.

Questi comportamenti sono già tutti presenti, anche se in maniera ancora accennata  e per alcuni versi, ingenua, nel primo episodio cinematografico della saga di 007, quel famoso “Licenza di uccidere” che dal 1962 diede un grande successo all’agente segreto personaggio/mito della storia del cinema. In questo articolo ci occuperemo, per ovvie ragioni di spazio, solo degli avversari in pellicola del nostro Bond, sottolineando subito che molti di essi hanno anche un’origine letteraria ben definita nei romanzi  di Fleming, ma che nella maggior parte dei casi il cinema li ha modificati, anche radicalmente.


 Apre dunque la galleria, proprio il Dr. No, interpretato, con studiata freddezza, da Joseph Wiseman, attore newyorchese di formazione prevalentemente teatrale. Il famigerato dottore, figlio illegittimo di un missionario tedesco e di una ragazza cinese di buona famiglia, è un emissario della SPECTRE che vive su un'isola circondata da una barriera radioattiva ed è intenzionato ad ostacolare la corsa allo spazio degli americani, deviando la rotta di alcuni vettori per satelliti.  Se il dr. No già mette in luce le caratteristiche fondamentali del “nemico bondiano”, a delinearlo in maniera inequivocabile è poi Auric Goldfinger, supercattivo dell’omonimo “film-missione” del 1964. Sarà un attore tedesco che era stato notato dalla production di 007 per la sua interpretazione di un serial killer di bambini e che reciterà anche con Visconti, De Sica e Bergman - il bravo Gert Frobe - a vestire i panni di un personaggio che sarebbe potuto sulla carta  risultare anonimo e piuttosto prevedibile e lo farà con tale abilità da risultare a sua volta vittima di quella che è l’unica sua passione di vita: l’oro.


Goldfinger è, infatti, un magnate dell'oro che, per diventare ancora più ricco, escogita un piano per rendere radioattiva la riserva aurea di Fort Knox negli Stati Uniti, contaminandola per decenni e facendo così triplicare il prezzo dei suoi lingotti. Goldfinger,  a dispetto del suo sguardo buono e del suo colorito rubizzo, va ricordato purtroppo anche come uno dei più originali e spietati assassini della saga di Bond, dato che per mettere a tacere per sempre l’avvenente “gola profonda” Jill Masterton la ricopre interamente di polvere d’oro (novello re Mida…) dalla testa ai piedi, soffocandola. L’ossessione dell’oro e della ricchezza  è un tratto comune di almeno due dei successivi “Bond villains”: l’Emilio Largo di “Thunderball” e il Carl Stromberg di “La spia che mi amava”, che vivono ed agiscono in base ad altrettante fissazioni. Indimenticabile il nostro Adolfo Celi (scelto dalla produzione  per attirare maggiormente il pubblico europeo in un periodo in cui la cinematografia italiana era molto in auge) che si cala nei panni di uno dei cattivi più significativi e "carogna" della cinematografia bondiana.


In "Thunderball" (1965) il suo Emilio Largo è un intrigante numero 2 della SPECTRE, massiccio, granitico e con benda piratesca sull'occhio,potentissimo uomo d'affari (loschi!) che si prodiga nel tentativo di usare due testate nucleari, rubate per provocare un conflitto internazionale. A fargli da cornice, oltre alle location mozzafiato delle Bahamas, squali famelici in acque cristalline, panfili ultramoderni e bellezze da sogno, come quella della Domino di Claudine Auger, il tutto impreziosito da sequenze subacquee da antologia del cinema. Curd Jurgens, invece, corpulento attore dallo sguardo magnetico e dalla presenza impeccabile, è stato spesso legato a personaggi turpi, sadici e cattivi (tra cui ruoli da ufficiale nazista…), e viene considerato il più versatile attore tedesco del XX secolo, capace d’eseguire performance eccellenti anche in film mediocri. In “La spia che mi amava”(1977) impersona Karl Stromberg e lo fa in maniera convincente.


Stromberg è un uomo di potere, le cui personali convinzioni costituiscono una grave minaccia per la nostra civiltà: egli ci considera condannati ad una inevitabile decadenza, perché oramai troppo coinvolti in un irreversibile processo di autodistruzione (che abbia avuto doti profetiche, dati i tempi che stiamo vivendo?...). L’unica salvezza è l’alba di una nuova civiltà sub-acquatica di cui la sua futuristica  base anfibia Atlantis costituisce il punto di partenza. Sostanzialmente è un villain interessante, più vicino ad Hugo Drax che non agli emissari della SPECTRE.


A non attirare di certo le simpatie del pubblico è appunto Sir Hugo Drax, cattivo a tutto tondo in “Moonraker” interpretato nel 1979 da Michael Lonsdale, grande attore francese (un Cèsar!) che ha recitato con registi del calibro di Welles, Truffaut, Olmi e Bunuel e che conferisce a questo folle magnate, dalle ostentate simpatie per gli ideali nazisti e dalle progettualità bibliche, un’inesorabile mancanza di emotività e di empatia, perfetto contraltare all’inconfondibile sense of humour dello 007 di Roger Moore e alle simpatie che la grottesca invulnerabilità di “Squalo” e la sua fanciullesca conversione al bene, generano nello spettatore anche più smaliziato.  La cattiveria di Drax è specchiata, lineare, priva di sfaccettature o di ripensamenti e rappresenta un male classico e assoluto. Drax è un uomo ricchissimo e potente che non vuole conquistare il mondo, ma addirittura ripulire l’intera razza umana dalla moltitudine di coloro che non rientrano in determinati canoni estetici e comportamentali e che sono motivo di corruzione e degenerazione dell’essere umano. Per lui non si può provare che antipatia e disapprovazione e proprio per questo la sua è una “malvagità innocua” che agisce solo a livello emotivo superficiale.


Non molto diverso è il discorso per l’inquietante Ernest Stavro Blofeld  che per la prima volta svela il suo volto, incarnato da Donald Pleasence in “Si vive solo due volte” (1967), ma che già è stato delineato - con studiati coup de scene e apparizioni parziali - nei film precedenti. Il capo della SPECTRE è impegnato anch’egli a distruggere il mondo, scatenando la Terza Guerra Mondiale tra le superpotenze durante l’epoca della Guerra Fredda.  E Pleasence, attore eccellente ed icona della Hammer Film  production, è tanto bravo a trasmetterci sensazioni di paura ed ineluttabilità nella parte della vittima terrorizzata in alcuni dei suoi ruoli horror li, quanto sinistro e malefico nei panni del super-cattivo per eccellenza, coadiuvato da una maschera scenica fatta di sicurezza, freddezza e grosse cicatrici, cui si aggiunge la consueta trovata di raffinata eccentricità dello splendido persiano bianco da accarezzare. Assolutamente da rivalutare, come tutto il film del resto, il Blofeld interpretato successivamente da un beffardo Aristotelis “Telly” Savalas ne “Al servizio segreto di sua Maestà” (1969), per il quale lo “scafato” sceneggiatore Richard Maibaum dovette inventarsi lo stratagemma della plastica facciale, per giustificare il cambio di fisionomia dell’antagonista bondiano per eccellenza. Savalas attore di origini greche, già protagonista di numerose pellicole hollywoodiane di successo, prima di restare imprigionato per sempre nel personaggio dei tv-movie del tenente Kojak, ci regala un’interpretazione raffinata, supportata in maniera eccellente da un’ambientazione mozzafiato come quella del ristorante Piz Gloria: edificio che ruota intorno ad un asse centrale, sulla vetta dello Schilthorn, permettendo una panoramica emozionante sulle alpi svizzere, Eiger compreso...


Una vicenda che contiene molte novità nella saga bondiana ed è impreziosita da quella sottile ironia (che sarà il tocco vincente delle future pellicole con Roger Moore) nonchè da sequenze d’azione di alto livello, dove la fanno da padroni le specialità invernali e le minacce biochimiche, capaci di dar corpo con notevole anticipo sui tempi, ad una delle angosce principali della nostra società: la paura del contagio, della pandemia. Personalmente uno dei miei villain preferiti, questo Ernst Stavo Blofeld di Savalas…  Veniamo ora a Tov Kronsteen, interpretato da Vladek Sheybal in “Dalla Russia con amore” (1964), che, pur essendo di fatto un emissario della Spectre, ha parecchi elementi in comune con il futuro Le Chiffre: fisico longilineo, viso spigoloso e sguardo penetrante e particolare, sorriso raro (una smorfia!) appena accennato.

Entrambi sono perfidi calcolatori e geni matematici (Kronsteen è un campione di scacchi) ed entrambi faranno una brutta fine per mano dei loro stessi capi, avendo fallito il loro compito nell’organizzazione. Probabilmente ispirato proprio a Kronsteen, ma assai più significativo, il personaggio di Le Chiffre in "Casino Royale" (2006) che l'attore rivelazione Mads Mikkelsen tratteggia superbamente, elevandolo, da semplice intermediario, a vero e proprio "cattivo" bondiano. La sinistra inespressività dell'interprete danese conferisce qualcosa di inquietante e di sofferto a questo banchiere e finanziatore del terrorismo internazionale, impegnato in una drammatica partita a carte con Bond, che si trasformerà ben presto in un vero e proprio duello mortale. Le Chiffre, genio della matematica e degli scacchi, dall'incarnato pallido e dall'impeccabile completo con camicia nera, è asmatico ed affetto da emolacria (sanguinamento oculare) e tradisce appena le sue emozioni, per via di qualche tic nervoso. Anche se verrà eliminato in un batter d'occhio da un sicario della SMERSH per conto dell'organizzazione, insoddisfatta, alla quale ha sottratto denaro per scopi personali, nelle sue decisioni, si rivela un vero serpente a sonagli e darà a 007 del filo da torcere, al punto di farlo avvelenare e poi a torturarlo e metterne a rischio la virilità.


Una curiosità, Ian Fleming, sosteneva di essersi ispirato al sinistro occultista Aleister Crowley nel tratteggiarlo...
Quanto a Kamal Khan, un Luis Jordan (anche fin troppo compassato) è un sofisticato principe afgano in esilio, interessato ai gioielli esclusivi e alle prelibatezze del palato). In “Octopussy” (1983) è senz’altro personaggio meno intrigante e messo in ombra dal compare generale Orlov, più canaglia e in perfetta linea con la nutrita schiera di grandi ufficiali traditori e golpisti che abbondano nelle pellicole bondiane.


(1- continua)
 
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